Il primario: ho capito troppo tardi ma sono certo solo per un caso
«Abbiamo controllato le tubature: colpa di una valvola»
MILANO — «Non ho immaginato neppure per un secondo che i miei pazienti respirassero protossido d'azoto invece che ossigeno». Antonio Scarcia è il primario dell'Utic dell'ospedale di Castellaneta. Dall'inaugurazione del reparto, due settimane fa, ha visto morire otto dei suoi ventuno pazienti. Eppure mai prima di ieri pomeriggio aveva pensato che ad ucciderli non erano gravi patologie cardiache ma un respiratore artificiale. Avrebbe dovuto tenerli in vita. In realtà li avvelenava. «Io sono certo solo dell'ultimo decesso — afferma il medico — Gli altri sono casi decisamente diversi, gravissime insufficienze cardiache. Penso che per gli altri pazienti si sia trattato di morte naturale. Ieri, invece, dovevamo operare un'anziana signora affetta da una patologia molto più lieve. Una fibrillazione atriale, ovvero una semplice aritmia. E quell'improvviso peggioramento ci ha insospettito». Sono da poco trascorse le 17 quando A. G., pensionata di 73 anni, viene accompagnata in rianimazione. Le sue condizioni sono regolari e l'intervento non presenta alcun tipo di rischio reale. «Avremmo dovuto praticarle una comunissima cardioversione, cioè interrompere la fibrillazione e ristabilire un ritmo costante e controllato del battito», spiega ancora Scarcia, sforzandosi di mantenere un tono della voce controllato e professionale. «Ma non abbiamo neppure cominciato ad operare. Le condizioni della paziente sono precipitate all'improvviso. I macchinari segnalavano una rapida ed apparentemente inspiegabile desaturazione. L'ossigeno scompariva dal sangue ad una velocità impressionante». La stavano perdendo. «È durato non più di cinque minuti. Abbiamo tentato il possibile, tutte le procedure di rianimazione previste in questo caso».
Ma non hanno pensato all'unica cosa che forse poteva salvarla, staccarle il respiratore. «Qualche minuto dopo, quando ancora storditi ci chiedevamo cosa fosse accaduto, abbiamo collegato i tubi dell'aria ad altre attrezzature che analizzano le emissioni. E allora, finalmente, abbiamo capito». Scarcia è a Castellaneta da poche settimane, chiamato nell'ospedale inaugurato nel 2005 a dirigere la nuova unità coronarica. Per uno dei tanti paradossi della sanità, dopo quasi due anni il nuovo reparto non era ancora attivo per carenza di personale. Al suo fianco c'è Marco Urago, direttore generale dell'Asl Taranto 1, che al telefono consulta una copia delle cartelle cliniche acquisite ieri pomeriggio dai carabinieri con tutta una serie di documenti tecnici sulla manutenzione di macchinari e tubature. «Sono stato io ad avvisare l'autorità giudiziaria — spiega il dirigente — non appena ho ricevuto l'allarme dal dottor Scarcia. Poi mi sono precipitato in ospedale, e insieme a medici ed infermieri abbiamo cercato di capire cosa fosse accaduto». La piccola indagine è durata alcune decine di minuti. I macchinari sono stati ispezionati accuratamente, e le tubature controllate palmo a palmo. Poi, in un corridoio esterno al reparto, in alto, a pochi centimetri dal soffitto, un tecnico si è accorto che la valvola di un innesto a «T» era nella posizione sbagliata. Invece che ossigeno, erogava protossido di azoto. In questi quindici giorni otto pazienti sono morti dopo essere stati sottoposti a respirazione artificiale. Ma per Scarcia sarebbero morti per cause naturali. «L'età media di queste persone — aggiunge il medico — è intorno ai 75 anni, e tutti erano in condizioni disperate. La paziente più giovane ne aveva 65, ed era diabetica e obesa, oltre che affetta da una pesante patologia cardiaca». Le indagini della Procura di Taranto dovranno ora stabilire se anche loro hanno inalato il velenoso gas anestetico. «Gli impianti sono stati collaudati regolarmente — conclude il direttore generale — e non presentano alcuna anomalia. Non ci sono stati interventi della ditta di manutenzione, e nessuno, a quanto ci risulta, ha mai messo mano alle tubature».
Antonio Castaldo
05 maggio 2007
«Voglio la verità, ora staff per la sicurezza»
Il ministro della Salute: la prevenzione del rischio è il nostro punto debole
ROMA — Pensava di andare a dormire tranquilla, dopo l'ennesima giornata difficile contrassegnata dallo sciopero dei medici e i conseguenti disagi per i malati.
Invece attorno alla mezzanotte Livia Turco era ancora al telefono con il presidente della Puglia Nichi Vendola e l'assessore alla Sanità Alberto Tedesco per avere notizie dell'episodio di Castellaneta, provincia di Taranto: «Si faccia la verità, certe cose non devono più accadere, bisogna intervenire energicamente per prevenire gli errori» afferma, dopo aver saputo che, secondo quanto le hanno riferito i due interlocutori, sarebbe morto un solo paziente, anziché otto o addirittura nove, come le avevano comunicato in un primo momento.
«Aspetto i risultati dell'inchiesta» aggiunge.
Ancora fango sulla sanità pubblica, ministro?
«La sanità qui non c'entra. La Asl aveva svolto correttamente tutte le procedure per l'appalto. L'errore non è neppure imputabile alla giunta precedente. La ditta del macchinario sotto accusa è specializzata in questo tipo di attrezzature, ma ha certificato un impianto che evidentemente non doveva essere certificato. Quando è entrato in funzione è mancato il collegamento tra linea di ossigeno e di protossido di azoto, questo mi ha raccontato Vendola».
Errore che tuttavia getta nuova ombra su un sistema chiamato sul banco degli imputati troppe volte negli ultimi mesi. Come lo difende?
«La prevenzione del cosiddetto rischio clinico è il punto debole della sanità italiana, noi lo sappiamo e abbiamo messo in piedi una serie di iniziative per colmare la lacuna. Le Regioni devono dotarsi di uno staff responsabile della sicurezza. Questo staff, secondo il piano che stiamo predisponendo, avrà poteri di intervento e indirizzo, quindi lavorerà nell'ambito della direzione generale dell'ospedale. E' quasi pronto, inoltre, il primo rapporto nazionale sugli eventi sentinella, che dovrebbero far scattare subito l'allarme».
Che funzioni avrà questo nuova struttura di comando?
«Dovrà garantire la sicurezza e l'igiene. In alcune aziende è già stata organizzata ma è urgente che l'iniziativa sia generalizzata. Però non illudiamoci di annullare del tutto il rischio dell'errore umano. Non dimentichiamo poi che la disponibilità di nuovi macchinari può determinare degli imprevisti».
Lei insiste molto sul coinvolgimento e sull'autonomia delle Regioni. Ritiene che, oltre a battere cassa, dovrebbero impegnarsi di più per garantire ai cittadini un servizio sanitario all'altezza della situazione?
«Riconosco che hanno già avviato molto lavoro. Ma devono impegnarsi di più. Ci vuole una sterzata, piani straordinari per cambiare davvero».
I cittadini però non si sentono abbastanza tutelati. Si sente troppo spesso parlare male degli ospedali. Si sente di invitarli ad avere fiducia anche se per un banale errore di omologazione otto persone potrebbero aver perso la vita?
«La qualità del servizio sanitario nazionale è fuori discussione. Ripeto, in questo caso l'errore non è imputabile a un medico o a un operatore sanitario ma a una possibile disattenzione di una ditta esterna, che aveva ricevuto l'ordine del macchinario dell'unità coronarica per appalto. Non cadiamo nel luogo comune secondo cui tutto va male».
Margherita De Bac
05 maggio 2007
Vendola: puniremo duramente chi ha sbagliato
BARI — «Qualunque responsabilità sarà perseguita con la massima durezza». È scosso Nichi Vendola (foto), presidente della Regione Puglia, alla notizia della morte sospetta di alcuni pazienti all'ospedale di Castellaneta. Il primo passo sarà nominare una commissione di indagine amministrativa, rappresentata dal professore Tommaso Fiore (anestesiologo e consulente di Vendola per la Sanità), Vitangelo Dattoli (direttore sanitario del Policlinico di Bari), Giancarlo Salomone (responsabile dell'ufficio tecnico dell'Oncologico) e il dottor Dell'Erba (medico legale). Per il momento sono due i documenti nelle mani della Regione, pervenuti via fax all'assessore alle Politiche della salute, Alberto Tedesco. Il primo, inviato dal primario dell'Utic, considera «sospetto» solo l'ultimo dei decessi, quello avvenuto ieri. L'altro è la certificazione con cui la ditta costruttrice dell'impianto attesta la regolarità dell'erogazione di ossigeno e protossido di azoto. Nella sua relazione il primario del reparto, Antonio Scarcia, informa che dal 20 aprile (data di apertura del reparto) sono state ricoverate nell'Utic 21 pazienti. Otto i deceduti. «Di questi decessi — informa il medico — sette sono riconducibili alla gravità delle patologie di base». Sono state «le modalità dell'ultimo decesso, legate all'uso della ventilazione assistita dall'erogazione dell'ossigeno» che ha indotto il medico a sospettare «della qualità e della quantità» della sostanza erogata. Quanto all'attestazione rilasciata dall'azienda che ha realizzato l'impianto, sembrerebbe tutto regolare: l'impresa dichiara che gli erogatori rilasciano ossigeno puro al 100% e soprattutto non contaminato dalla presenza di protossido di azoto.
05 maggio 2007
[Modificato da dapi 05/05/2007 9.26]
[Modificato da dapi 05/05/2007 9.30]