sempre dalla Stessa Gazzetta:
UN CONTO SALATO. Il Tribunale ha riconosciuto il risarcimento del danno nei confronti dell’Azienda sanitaria locale, della Regione Puglia e di Cittadinanzattiva
Il «pentimento» di Parnasso e di Lo Savio ha contribuito a delineare i contorni dell’accordo di corruzione
Colpevoli Armenise e Brizio
Truffa all’Asl, gli ex manager condannati. Fatture per lavori fantasma
GIACOMO RIZZO
Il "pentimento" di Armando Parnasso e di Raffaele Bruno Lo Savio ha contribuito a delineare i contorni della maxitruffa all’Asl Taranto 1. Il processo di primo grado si è concluso ieri con una raffica di condanne. Gli imputati avrebbero fatto predisporre e sottoscrivere i mandati di pagamento relativi alle fatture «false» ed avrebbero, inoltre, concesso incarichi alla Global senza espletare la necessaria gara d’appalto. La maggior parte delle fatture che avevano originato l’emissione dei mandati di pagamento emesse dalla società di Parnasso negli anni 1999 e 2000 recavano l’indicazione di prestazioni molto generiche eseguite negli anni precedenti. Peraltro, alcuni servizi, apparentemente resi, risulterebbero già effettuati e fatturati in altri tempi dalla Global, che effettuava catalogazione, archiviazione e trasporto di documenti per conto dell'Asl.
Il Tribunale ha riconosciuto il risarcimento del danno nei confronti dell’Asl Taranto 1 (costituitasi parte civile tramite l’avvocato Antonio Raffo), della Regione Puglia (rappresentata in giudizio dall’avv. Michele Laforgia) e di Cittadinanzattiva (parte civile tramite gli avvocati Giuseppe Provenza, Marina Venezia e Massimo Tarquinio).
L’inchiesta ebbe una impennata dopo gli interrogatori degli indagati. Parnasso, prima attraverso un memoriale, e poi nelle dichiarazioni rese al pm inquirente, chiamò in correità Vito Armenise e Antonia Manghisi. L’amministratore della società di logistica tentò di giustificarsi sostenendo che i prezzi ottenuti con l’originario contratto di appalto stipulato con l’Asl non erano più remunerativi per la sua azienda, se rapportati alla mole di lavoro svolta. Parnasso disse di aver esposto il "problema" ad Armenise e quest’ultimo, pur dichiarandosi disponibile a risolvere ogni cosa, lo avrebbe indirizzato verso la Manghisi.
Con la dirigente dell’Area Gestione Risorse Finanziarie, l’imprenditore avrebbe poi concordato il sistema delle false fatture e di quelle gonfiate, ricevendo la richiesta di dazioni di denaro per il direttore generale.
Nel corso dell’inchiesta, è stato accertato che vari mandati di pagamento emessi in favore della Global by Flight non erano stati inclusi nel partitario fornitori consegnato dall’Asl Ta/1.
Diversi gli episodi di corruzione contestati.
Ad esempio, l’ex manager Vito Armenise avrebbe fatto emettere una serie di mandati di pagamento in favore della Global in cambio di un tangentone di 3 miliardi di lire, in parte impiegato nell’acquisto di immobili, nella ristrutturazione di una villa e nell’acquisto di un’autovettura Mercedes.
Alcune società satelliti facenti capo al patron della Global avrebbero emesso fatture per circa 6 miliardi di vecchie lire a carico della Asl per servizi mai effettuati. L’accordo, secondo le rivelazioni di Parnasso, sarebbe stato perfezionato presso l’abitazione di Antonia Manghisi, a San Vito.
Un altro capitolo riguarda l’archiviazione ottica dei documenti e delle cartelle cliniche delle disciolte Usl: un affare da 30 miliardi delle vecchie lire che sarebbe stato assegnato al Consorzio Ermete dell’avv. Alessandro Saracino attraverso un complesso meccanismo di cessione di crediti. Infine, la Global avrebbe subappaltato alcune commesse alla cooperativa "In Itinere", della quale Simone Brizio è indicato quale amministratore di fatto. L’imprenditore mesagnese ha dichiarato che le fatture erano state «gonfiate» per ottenere un compenso maggiore. Inoltre, secondo gli inquirenti, lo stesso Parnasso avrebbe corrisposto "in nero" 70 milioni di lire a Simone Brizio, attuale consigliere regionale dell’Udc, quale contributo per la campagna elettorale in occasione delle consultazioni regionali.
I pubblici ministeri Remo Epifani, Pietro Argentino e Mario Barruffa avevano chiesto 20 anni di carcere per Parnasso, 16 anni per Antonia Manghisi, 15 anni per Vito Armenise e 12 anni per Alessandro Saracino e Giuseppe Brizio